Luca Bianchi

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Nel novembre del 2014 abbiamo pubblicato un primo video che riassume l’origine e le caratteristiche dell’organizzazione terroristica denominata Isis. Da quel momento la situazione è cambiata drasticamente e lo Stato Islamico si è fatto sempre più minaccioso, attaccando direttamente alcune delle più grandi capitali del mondo e dando un nuovo volto al terrorismo. Vediamo insieme che cos’è successo e quali sono le ragioni per cui l’Isis è così temuto.

DALL’INIZIO AD OGGI

Il 29 giugno 2014 l’Isis ha proclamato la restaurazione del califfato islamico in Siria, suscitando inizialmente tanta ilarità e critiche dagli studiosi islamici, quanto appoggio di alcuni sostenitori Giordani, Arabi e Siriani. Da quel momento ha inizio la sua espansione militare in Iraq e sul confine con la Turchia, attirando inevitabilmente l’attenzione delle potenze occidentali: l’8 agosto 2014 il presidente statunitense Barack Obama ha infatti autorizzato i primi bombardamenti contro lo Stato Islamico e l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni in fuga.
Negli ultimi mesi del 2014 l’Isis ha operato principalmente entro i confini del medio-oriente, distruggendo la moschea di Giona a Mossul, massacrando e schiavizzando più di 10.000 individui appartenenti alle minoranza islamiche degli yazidi, degli sciiti e dei turcomanni, e tenendo sotto assedio per mesi la città curda di Kobanê, sul confine turco, controllata dai peshmerga.
Tra gennaio e febbraio del 2015 il califfato è penetrato in Libia conquistando parzialmente Sirna e Derna e infiltrandosi persino a Tripoli, la capitale. Tale posizione, oltre a porlo direttamente a sud del nostro paese, gli ha conferito un controllo pressoché totale sulle due principali rotte di immigrazione verso l’Europa: quella balcanica, dalla Siria, e quella mediterranea. Contemporaneamente lo Stato Islamico ha operato una sistematica distruzione di monumenti, templi ed edifici storici e religiosi considerati patrimonio dell’umanità, e si è alleato con Boko Haram, un movimento integralista jihadista operante in Nigeria, tristemente famoso per le sue stragi. Ma naturalmente ciò che più ne caratterizza l’avanzata è la lunga serie di esecuzioni e attentati che su cui è stata basata una brutale propaganda mediatica che alcuni canali televisivi hanno addirittura deciso di non trasmettere.
Infatti dall’agosto del 2014, iniziano a essere pubblicati su youtube dei video in cui alcuni affiliati dell’Isis decapitano fotoreporter, giornalisti, attivisti, ex-soldati e ostaggi di nazionalità americana, britannica e giapponese. Particolare scalpore viene fatto dall’esecuzione del 3 gennaio 2015 del pilota giordano Mu’adh al-Kasasbeh, che viene arso vivo dentro a una gabbia. Nel corso di questi video lo Stato Islamico si pronuncia anche in atroci minacce nei confronti dei paesi occidentali e “crociati”; tra cui anche Roma e il Vaticano.
Oltre alla pubblicazione dei video delle esecuzioni, lo Stato Islamico fa uso regolarmente di altri social media come Twitter dimostrando una forte presenza dell’organizzazione sulla rete.

GLI ATTENTATI

L’attività terroristica dell’Isis è andata incrementando vertiginosamente dalla proclamazione del califfato.
Lo Stato Islamico ha colpito in maniera indiscriminata ogni parte del globo, attentando in Europa, negli Stati Uniti, in Medio-Oriente, nel Nord-Africa e persino in Indonesia, ai danni non soltanto di stati considerati “infedeli”, ma anche e soprattutto di altri paesi di fede islamica che non sono sotto il suo controllo. Vanno ricordati soprattutto l’assalto al museo del Bardo a Tunisi del 28 marzo 2015 (24 morti e 45 feriti), l’attentato di Susa, sempre in Tunisia (39 morti e 38 feriti), quello di San Bernardino negli Stati Uniti (14 morti), e i più recenti attacchi in Libia, a Baghdad, Instanbul e Giacarta, che hanno provocato centinaia di vittime.
La capitale francese di Parigi è stata colpita due volte nel corso del 2015: la prima il 7 gennaio, quando è stato compiuto un attentato contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, che ha provocato 12 morti e 11 feriti. La seconda il 13 novembre, nel I, X e XI arrondissement di Parigi, e allo Stadio di Francia a Saint-Denis. Questo secondo attentato, operato attraverso sparatorie in diversi luoghi pubblici, la più sanguinosa delle quali al teatro Bataclan, ha provocato più di 130 morti e 368 feriti, ed è considerato non solo la più cruenta aggressione al territorio francese dalla seconda guerra mondiale, ma anche il più grave atto terroristico nei confronti dell’Unione Europea dopo quello dell’11 marzo 2004 a Madrid. Entrambi gli attacchi contro Parigi hanno sollevato l’opinione pubblica di tutto il mondo, che si è unita contro la brutalità dello Stato Islamico e a difesa dei mussulmani non jihadisti inevitabilmente coinvolti dall’odio generale; grande rilievo in tal senso è stato assunto soprattutto dai social media quali facebook e twitter, che hanno indetto diverse campagne virali per la sensibilizzazione, tra le quali ricordiamo #jesuischarlie, #prayforparis e #notinmyname.
Il 31 ottobre 2015 viene inoltre abbattuto un aereo passeggeri russo con 224 persone a bordo, provocandone la morte. Francia e Russia hanno considerato questi attacchi una vera e propria dichiarazione di guerra e hanno intensificato i loro interventi contro le roccaforti dell’Isis sostenuti dalla Turchia, che nel gennaio 2016 ha iniziato a bombardare le postazioni dello Stato Islamico in Siria e in Iraq in risposta ai più recenti attentati.

CHI COMBATTE CHI

Come abbiamo detto, l’Isis controlla un’area compresa tra la Siria e l’Iraq. Tuttavia, sono molte le fazioni che si contendono questo territorio e sono ancora di più gli stati stranieri che si sono aggiunti ai combattimenti. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine.
In Siria, sono in guerra con l’Isis sia l’esercito del regime dittatoriale di Bashar al-Assad (che controllava l’intero paese prima dell’inizio del conflitto civile) sia una serie di gruppi di ribelli, più o meno moderati. In Iraq invece è l’esercito iracheno a cercare di fermare l’avanzata dello Stato Islamico. Ma chi sta facendo di più contro l’Isis sono i Curdi, un popolo che da anni reclama uno stato a cavallo tra Siria, Iraq, Iran e Turchia.
Il quadro si complica ulteriormente se aggiungiamo gli stati stranieri che, per un motivo o per l’altro, si sono immischiati in questo conflitto. Tuttavia, essi prendono parte alle operazioni soltanto attraverso bombardamenti aerei e aiuti alle parti in campo. Fra chi impiega i propri caccia troviamo in primis gli Stati Uniti, ma anche alcuni stati europei come la Francia e il Regno Unito, alcuni stati arabi come l’Arabia Saudita, oltre alla Russia e alla Turchia. Paesi come il nostro, invece, hanno assunto un ruolo prevalentemente di supporto, impiegando aerei soltanto di ricognizione, inviando istruttori militari all’esercito iracheno oppure fornendogli delle armi.
Anche se i paesi a intervenire sono molti, spesso i loro obiettivi non coincidono e molto lascia pensare che la sconfitta dello Stato Islamico non sia la priorità assoluta per nessuno di loro. Per esempio, molti esperti sostengono che senza un intervento di terra, con i cosiddetti “scarponi sul terreno”, sia molto difficile riuscire a sconfiggere l’Isis. Infatti, i guerriglieri dello Stato Islamico si nascondono in cunicoli sotterranei o si confondono tra la popolazione civile. In questo modo, i bombardamenti aerei rischiano spesso di colpire persone innocenti, ampliando il consenso verso il califfato. L’intervento di terra è però precluso dalla contrarietà della popolazione occidentale, che difficilmente accetterebbe i costi in termini di vite umane che una guerra comporta.
A complicare ulteriormente la situazione sono i diversi interessi delle parti in gioco. Ad esempio, gli stati occidentali e la Russia sono in disaccordo sulla figura di Assad. Se l’occidente lo vede come un dittatore sanguinario da abbattere, per Putin è un alleato fondamentale in Medio Oriente. Tant’è che la Russia, nei suoi raid aerei, oltre l’Isis colpisce anche i ribelli che a loro volta combattono contro l’Isis. Anche la Turchia, almeno fino a prima di un attentato dell’Isis sul suo territorio, era piuttosto tenera con il califfato, dato che il suo nemico principale è il regime di Assad. Inoltre sia la Turchia che l’Iraq vedono i curdi di cattivo occhio, dato che essi reclamano parte del loro territorio per sé. Infine, tra i gruppi di ribelli anti-Assad è difficile distinguere quelli più moderati, appoggiati dall’Occidente, da quelli più radicali.

CONTROVERSIE

Le ragioni per cui l’Isis è diventato il protagonista geopolitico e mediatico del conflitto in Siria, nonostante vi siano numerose altre parti in gioco, vanno senza dubbio ricercate nelle diverse controversie di cui si è fatto protagonista. A partire dalle violazioni dei diritti umani, per finire con le persecuzioni religiose, le accuse di violenze sessuali, i crimini di guerra e i conflitti con gli altri gruppi siriani.
Numerose speculazioni sono state aperte su chi fossero i sostenitori e finanziatori del gruppo terroristico, che a oggi resta il gruppo jihadista più ricco del mondo, anche se il difficile panorama degli equilibri medio-orientali rende complicato dare una risposta certa. Alcuni ricercano tali relazioni nel governo siriano stesso, che non ha mai bombardato le basi dello Stato Islamico.
I fondi in suo possesso provengono per la gran parte dalle attività di rapimento, contrabbando, produzione di petrolio ed estorsione, ma in molti evidenziano la presenza di donazioni provenienti dall’estero. È risaputo che il gruppo gode della presenza di finanziatori privati provenienti dagli Stati del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in primis), e sono sempre di più ad avanzare l’ipotesi che dietro all’Isis vi sia un tentativo degli Stati Uniti di destabilizzare il vicino oriente, dato il tiepido intervento intrapreso dalle forze americane. Quello che sappiamo per certo è che l’America ha finanziato l’Esercito Libero Siriano, contro il regime di Assad, prima che in migliaia si unissero allo Stato Islamico, portando con sé gli armamenti che possedevano in precedenza.

CONCLUSIONE

L’ultimo anno ha visto una crescita pericolosa ed esponenziale dello Stato Islamico, che ha dominato i media di tutto il mondo e destato preoccupazioni in ogni angolo del globo. Il vertiginoso aumento negli attentati ha riportato in auge il terrorismo di matrice islamica che sembra ancora lungi dall’essere sconfitto a causa della fermezza degli interessi e degli equilibri geopolitici che interessano il territorio medio-orientale. Quello stesso intreccio che ha partorito l’Isis, ma che non sembra in grado di poterlo regolare, né tanto meno di mettergli un freno.

Voi come interverreste? Quali sono le prospettive che vi spaventano di più di un ampliarsi dell’influenza dell’Isis? Fatecelo sapere nei commenti.

Il capitolo “Chi combatte chi” è stato scritto da Fabio Fontana.

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Quella delle “grandi esposizioni” è una serie di eventi che si susseguono a cadenza quinquennale sin dal 1851, quando a Londra venne istituita la prima esposizione universale della storia. EXPO Milano 2015 non ne è che la tappa più recente, ospitata in Italia dal primo maggio al 31 ottobre di questo stesso anno e dedicata al tema dell’alimentazione, in particolare “nutrire il pianeta, energia per la vita”. Nel corso degli ultimi mesi, abbiamo visto come la gestione di questo evento abbia suscitato moltissime polemiche, anche sul fronte politico, dividendo gli osservatori tra favorevoli e contrari. Insieme, esamineremo i dati e i fatti che hanno suscitato più attenzione, cercando di analizzare il contesto venutosi a creare intorno all’esposizione.

Il progetto

Fin da quando è stata resa pubblica la sua progettazione nel 2008, ci è stato immediatamente chiaro come il comune di Milano stesse scommettendo molto su Expo 2015, che è stato pubblicizzato come il più grande evento mai realizzato dedicato all’alimentazione e alla nutrizione. Un’area espositiva di 1,1 milioni di metri quadrati, più di 140 Paesi e Organizzazioni internazionali coinvolte e oltre 20 milioni di visitatori attesi sono numeri che fanno ben capire quanto si sia puntato sull’evento. Durante la fiera si discuterà di come rafforzare la qualità e la sicurezza dell’alimentazione, di come eliminare fame, sete e malnutrizione, di obesità, di ricerca, di tradizioni alimentari, di sostenibilità, di bio-diversità e biotecnologie. Attraversando l’esposizione sarà possibile fare il giro del mondo in un chilometro e mezzo, passando per un articolato viaggio di sapori e cogliendo l’opportunità di toccare con mano culture alimentari lontane dalla nostra, che altrimenti rischieremmo di non conoscere mai.
Il sito dedicato all’esposizione è un vero e proprio tripudio di capolavori edili che ha coinvolto il lavoro di più di 20.000 manovali e 500 architetti: ciascuno dei Paesi coinvolti ha voluto sfoggiare i muscoli dei propri artisti sviluppando, per riempire gli 80 padiglioni, progetti elaborati e magniloquenti che fanno a gara gli uni con gli altri, nella speranza di rimanere un’attrazione fondamentale della città anche dopo che l’esposizione sarà terminata. Il comune di Milano, in accordo con il tema dell’evento, ha già imposto che ad essere riutilizzata sarà soltanto il 40% della superficie del sito, mentre il restante 60% andrà destinato ad aree verdi. E al di fuori dell’area strettamente dedicata all’esposizione, l’intera città di Milano si è trasformata in un vero e proprio corollario di mostre, eventi e saloni dedicati all’arte, alla cultura, alla musica, alla salute e alla scienza, come non si vedeva – e come probabilmente non si vedrà – per anni.
Tutto ciò servirà, stando alle parole di Renzi, ad aprire una vera e propria vetrina sul nostro Paese e a trasformarlo in un’agorà internazionale dedicata ai temi trattati, senza contare l’ambizioso obiettivo di raccogliere almeno 800 milioni di euro di incasso. Ciò nonostante, le grandi spese hanno attirato innanzitutto le critiche e le lamentele di una larga parte della popolazione, che ha visto nell’evento grandi imperfezioni. I cosiddetti NO EXPO.

I problemi

Non si può parlare di Expo, infatti, senza parlare di corruzione. L’organizzazione dell’evento è stata caratterizzata sin dalla sua nascita da spese esorbitanti, spesso attinte dai fondi pubblici. Si pensi che dai 3,2 miliardi di euro previsti inizialmente, l’economista Roberto Perotti ha stimato che l’evento arriverà a costarne più di 14. Cifre che hanno disgraziatamente dato origine a numerose vicende giudiziarie legate a reati di associazione a delinquere, turbativa d’asta e truffa, che hanno coinvolto i dirigenti di numerose imprese legate all’Expo. Gli appalti per la realizzazione dell’esposizione sono stati oggetto di un’indagine anticorruzione e vi sono state numerose speculazioni su alcuni collegamenti con organizzazioni mafiose.
Altre polemiche hanno interessato la precarietà dei posti di lavoro offerti: nella gestione delle assunzioni dei lavoratori sono state segnalate irregolarità nei contratti e nel livello degli stipendi, costituite da negazioni dei diritti della sicurezza sul lavoro e salari attestati intorno agli 800 euro lordi. Molti giovani sono stati inoltre indotti a lavorare gratuitamente nella speranza di poter ampliare il loro curriculum.
Altre critiche sono state rivolte anche alle notevoli opere di cementificazione dedicate non soltanto al sito d’esposizione, ma anche alle 3 nuove autostrade aperte per l’occasione: Teem, Brebemi e Pedemontana. Vi è la preoccupazione che le strutture dedicate ai padiglioni restino inutilizzate dopo il termine della fiera e sono in molti a chiedersi che fine abbia fatto il progetto iniziale di costruire un “Giardino Planetario” dove ogni paese avrebbe dovuto lasciare almeno il 50% dello spazio assegnato aperto, dedicato al verde e a coltivazioni nazionali. Va detto inoltre che dopo la prima settimana di apertura, molte aree dello spazio espositivo sono ancora incomplete; si stima una percentuale che va dal 10% al 15%.
La maggior parte dei NO EXPO ha criticato anche la scelta degli sponsor, giudicando poco coerente con gli obiettivi della fiera la scelta di due multinazionali come Coca Cola e McDonald’s.
Venerdì 1° maggio si sono aperte le porte della fiera sulle note di un discorso di Renzi dedicato al futuro e alla speranza. Nello stesso istante, 30.000 NO EXPO stavano marciando pacificamente in Porta Ticinese a Milano contro l’organizzazione dell’evento. 500 di queste persone hanno trasformato velocemente la protesta in una manifestazione violenta, distruggendo uffici, banche, auto e negozi con poco, se non alcun, criterio e costringendo la polizia a scendere in strada per fermarli.

Pro Expo o No Expo?

In conclusione, dovrebbe esservi ormai chiaro quali siano le ragioni per cui questa manifestazione è così discussa. Le voci dei sostenitori dell’Expo continuano a ripeterci che dobbiamo essere pazienti, goderci l’opportunità unica di ampliare i nostri orizzonti culturali e che i reali benefici dell’esposizione sul paese non si vedranno prima di qualche anno. I No Expo si concentrano invece sulle critiche, sostenendo che in un periodo di crisi come questo, tutto il denaro investito nell’evento sarebbe dovuto essere utilizzato per altri scopi. Certo è che ormai è tardi per fermare tutto. Per quanto si possa ritenere Expo una pessima trovata, l’unica cosa che si può fare oggi è cercare di migliorarlo, riscoprendo i valori originari che muovevano il progetto.

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Guarda il video sulla crisi in Ucraina.

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La guerra ci è pericolosamente vicina; sia sotto un punto di vista spaziale che temporale. Si sta sviluppando proprio sul territorio europeo, in barba all’italiano medio che guarda alle partite di calcio domenicali come alle battaglie più importanti da combattere. Sta maturando in Ucraina, ad appena 2.000 chilometri di distanza dal bel paese.

Perché è così importante sapere che cosa sta succedendo in Ucraina? Innanzitutto a causa della sua posizione geopolitica: non sono in molti a rendersi conto che il Paese – così come molti altri Stati dell’est Europa – costituisce un cuscinetto che dissuade Russia e Stati Uniti dallo scornarsi direttamente sui territori europei. Sul suolo ucraino passano infatti gli oleodotti di gas e petrolio provenienti dalla madrepatria e sono presenti i principali porti russi di accesso al Mar Nero – e quindi al Mar Mediterraneo.
Queste ragioni sono più che sufficienti al primo e al secondo mondo per litigarsi l’influenza sul Paese, avvalendosi delle fratture ideologiche, politiche e sociali già presenti da anni.

 

Le radici della crisi.
Per poter comprendere le cause e le conseguenze della rivolta ucraina sarebbe necessario esaminare la storia del Paese sin dal periodo sovietico; tuttavia noi ci limiteremo a iniziare dalle elezioni presidenziali del novembre 2004. In quell’occasione vinse Janukovyč, “erede” politico di Kuchma e amico del Cremlino, ma, riscontrati ingenti brogli a suo favore, ad essere eletto fu infine Juščenko, leader della “rivoluzione arancione”. Il nuovo presidente cercò di avvicinare l’Ucraina all’Unione Europea, giocandosi così qualsiasi tipo di appoggio da parte della Russia e fallendo nel tentativo; alle successive elezioni del 2010 venne quindi eletto Janukovyč, questa volta senza brogli.

Tornando ai giorni nostri, il 30 marzo 2012 l’Unione Europea e l’Ucraina iniziano ad avviare un accordo commerciale che tuttavia non sarebbe stato ratificato se la seconda non avesse affrontato alcune questioni sulla democrazia. Memore di ciò che era accaduto al suo predecessore e osservando la Russia iniziare sin da allora a chiudere le dogane in sfavore dell’Ucraina, Janukovyč decide di non firmare l’accordo. I provvedimenti preliminari di Putin, infatti, erano stati già sufficienti a far scendere il valore delle mancate esportazioni di 1,4 miliardi di dollari e la produzione industriale del 4,9%.
La mancata ratifica del trattato è l’evento scatenante della crisi.

 

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Euromaidan.
Con la discesa in piazza del movimento pro-UE contro la politica di Janukovyč, che contava centinaia di migliaia di manifestanti, è interessante osservare alcuni dati che possano aiutarci a comprendere meglio le profonde fratture ideologiche della popolazione Ucraina. Secondo i sondaggi del dicembre 2013, il 45-50% della popolazione avrebbe infatti supportato Euromaidan, mentre tra il 42-50% vi si sarebbe opposto. La maggior parte della popolazione a favore si trovava a Kiev e nelle regioni occidentali, mentre quella contraria nel sud e nel meridione del paese, dove le tradizioni russe sono molto più forti. La frattura non è solamente geografica, però: la maggioranza dei giovani si sarebbe infatti dichiarata pro-europeista, mentre le generazioni più anziane avrebbero preferito mantenere un’unione doganale con gli stati russi.

Non c’è da sorprendersi, dunque, sulla velocità con cui il conflitto si è sviluppato. Euromaidan è stata interpretata come una protesta, una rivoluzione o un vero e proprio colpo di stato a seconda degli interessi in gioco; è stata repressa dalla polizia e trasformata da alcuni partiti politici in una rivolta anti-sistema, nonostante gli obiettivi iniziali fossero del tutto pacifici. Gli scontri nella piazza di Kiev hanno provocato quasi 90 morti, di cui 70 tra i manifestanti e 17 tra le forze di polizia.

 

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La crisi della Crimea.
Nel febbraio 2014 le manifestazioni in Euromaidan portano all’esautoramento del presidente Janukovyč e del governo ucraino, spingendo la Russia a intervenire direttamente nel conflitto, rafforzando le proprie installazioni – già presenti – nel porto di Sebastopoli.
A fronte della situazione creatasi, la Crimea dichiarò la propria volontà di separarsi dall’Ucraina e indisse un referendum che ottenne il 96,6% dei voti positivi, con una partecipazione di 3 votanti su 4 aventi diritto. La legittimità di tale referendum è tuttavia respinta dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che lo rintengono incostituzionale, mentre è accolto favorevolmente dalla Russia.
Il presidente Putin, in un discorso molto accalorato, dichiara la Crimea come parte della Russia per motivi morali e materiali, in virtù delle tradizioni russe ancorate nella regione e di accordi incostituzionali compiuti dai suoi predecessori. Viene citato anche il “principio di autodeterminazione dei popoli”, l’arma che i due grandi poli, russo e americano, preferiscono sfoderare quando le cose volgono reciprocamente a proprio favore – ma che, a quanto pare, viene tenuta in considerazione solo in questi casi.

In seguito, sempre più regioni dell’Ucraina, comprese le città di Donetsk e Luhansk, hanno iniziato a dichiararsi filo-russe e a pretendere l’indipendenza dal nuovo governo del presidente Turčynov, arrivando persino a combattere contro l’esercito regolare ucraino, forti di uomini e armamenti provenienti dal confine orientale. Questo comportamento è stato considerato oltraggioso sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti, che hanno accusato Putin di stare muovendo un’”invasione furtiva” ai danni dell’Ucraina e hanno imposto gravi sanzioni economiche alla madrepatria. La sensazione generale è che Putin stia cercando di mantenere il controllo sul territorio ucraino anche ora che non c’è un presidente amico al governo; d’altra parte non si può dire che UE e USA non stiano facendo altrettanto, valendosi della necessità di un appoggio economico e politico da parte del Paese conteso.

 

In conclusione.
La preoccupazione va ovviamente agli innocenti rimasti coinvolti dalla rivolta: dall’inizio del conflitto sino a oggi più di 5.100 persone hanno perso la vita e più di 900.000 sono state costrette ad abbandonare la loro abitazione. Tuttavia è d’uopo concentrarsi anche sulle prospettive inquietanti a cui l’inasprirsi di questo conflitto ci condurrebbe: la NATO sta già rafforzando la sua presenza nell’est europa e la Russia sembra aver violato gli accordi di pace stipulati a Minsk qualche settimana fa. Uno scontro tra questi due colossi avrebbe conseguenze disastrose sull’Europa che, nonostante stia tenendo le parti dell’america, rischia di finire incastrata tra le mire imperialistiche di un’Oceania e un’Eurasia spaventosamente Orwelliane.
Noi speriamo che questa breve guida possa esservi stata utile per inquadrare meglio il conflitto ucraino e le sue complessità; perlomeno, per darvi coscienza di ciò che sta avvenendo così vicino al nostro paese.

Guarda il video sulla crisi in Ucraina.

Il 2014 si è rivelato per l’Ucraina l’ultima di una lunga serie di stagioni di difficili rapporti con la Russia. Dal novembre del 2013 fino ad oggi, il paese è teatro di violenti conflitti che hanno destato le attenzioni dei media, soprattutto a causa della sua posizione alle porte dell’Europa. La posizione assunta, su sponde avverse, da Russia e Stati Uniti, ha risvegliato un clima pericolosamente simile a quello che si respirava durante la Guerra Fredda. Ma cos’è successo veramente in Ucraina? Scopriamolo insieme.

 

GLI ANTEFATTI. È impossibile riassumere tutte le ragioni dietro alla crisi in pochi minuti, ma per iniziare bisogna sottolineare il multiculturalismo del Paese. L’Ucraina è un mosaico di etnie, religioni e civiltà, diviso in due grandi spaccati: a Ovest si respira un’aria più occidentale, sia nel pensiero che nelle aspirazioni politiche, mentre a Est e a Sud lo Stato resta più legato all’influenza russa. Naturalmente non è possibile definire una frontiera netta fra le due parti, che si mischiano gradualmente l’una nell’altra dividendo il paese.
L’Ucraina ricopre un ruolo geopolitico particolarmente importante fungendo da “cordone sanitario” che separa la Russia dall’Occidente. Sul suo territorio passano infatti gli oleodotti con il gas russo verso i paesi dell’ovest. In tale contesto va considerato che l’Ucraina non è un paese di certo ricco (basti pensare che il suo PIL è pari a quello del Lazio) e ha sempre avuto la necessità di appoggiarsi economicamente ai suoi vicini.
Da anni, la politica ucraina è divisa tra chi guarda all’Occidente e chi guarda all’ex madrepatria russa. Alle elezioni del 2004, sembra emergere Janukovich che, come il predecessore Kucma, è vicino al Cremlino ed è il referente dei potenti clan oligarchici che controllano l’economia ucraina. Lo sfidante Juscenko, però, parla di brogli elettorali e, in suo favore, scoppia una grande protesta di piazza, la cosiddetta rivoluzione arancione, sostenuta anche dall’Unione Europea. La corte suprema indice quindi nuove elezioni che saranno vinte proprio da Juscenko. Durante il suo mandato, egli cercherà di avvicinare il paese all’Europa, ma non ci riuscirà, anche a causa delle ritorsioni russe su gas e petrolio. Alle successive elezioni del 2010, i cittadini ucraini daranno il loro appoggio al filo-russo Janukovich.
Venendo ai giorni nostri, il 29 settembre del 2013, l’Ucraina si trova davanti a un bivio: sottoscrivere l’accordo di associazione commerciale con l’UE o rimanere fedele a Mosca. Janukovich ha paura di voltare le spalle alla Russia, memore delle reazioni incontrate dal suo predecessore, e decide quindi di non firmare. Questo è l’evento scatenante della crisi.

 
LA CRISI. La rivolta inizia come una protesta pacifica pro-Unione Europea, che viene repressa violentemente dalla polizia. In seguito, nella piazza dell’indipendenza di Kiev (Maidan) si forma un presidio permanente di manifestanti, formato da persone appartenenti a qualsiasi strato sociale. A loro si uniscono anche molti partiti politici che sostengono la causa, compreso il partito social-nazionalista “Svoboda”, che sarà in seguito accusato da Putin di aver mosso il colpo di stato.
La protesta si trasforma velocemente *bandiere che cambiano in grafica*, assumendo i connotati di una rivolta anti- sistema. Janukovich viene accusato di gestire lo Stato facendo leva su un sistema corruttivo radicato sin dai tempi dei sovietici e a comando del movimento si pone il Settore Destro (Pravyi Sektor), un partito nazionalista ucraino che non intende scendere a patti con nessuno.
Nella primavera del 2014, Janukovich viene infine deposto e costretto a fuggire e il suo governo viene sostituito da uno filo-occidentale. È a questo punto che la Russia interviene direttamente nel conflitto, annettendo la regione della Crimea a sé e rafforzando la protezione delle proprie installazioni militari nell’area.
Putin esprime la propria posizione in maniera molto chiara sulla questione, giustificando la propria azione in ragione dell’influenza delle tradizioni russe sulla penisola.
La popolazione ucraina si dimostra infatti ancora una volta divisa: se da una parte l’occidente sottolinea la violazione dell’integrità territoriale dello Stato compiuta dalla Russia, dall’altra in Crimea viene indetto un referendum per l’annessione alla “Madre patria” che ottiene il 96,6% dei voti positivi, con un’affluenza alle urne pari a 3 votanti su 4.

 
OGGI. Dopo la Crimea, diverse altre regioni dell’Ucraina orientale, che includono le città di Donetsk e Luhansk, sono insorte e gruppi di ribelli filo-russi hanno preso con la forza il controllo di quelle zone. È iniziata così una vera e propria guerra tra l’esercito regolare ucraino e i rivoltosi dell’est, che hanno visto giungere dalla Russia armi e uomini, sebbene Putin continui ad affermare che non fanno parte dell’esercito russo. Questo comportamento non è stato tuttavia ben visto né dall’Unione Europea, né dagli Stati Uniti, che l’hanno incolpato di muovere una “invasione furtiva” ai danni dell’Ucraina.
L’occidente per ora si è limitato ad applicare delle sanzioni economiche alla Russia per placare le sue mire espansionistiche, incolpando Putin di voler rimettere le mani sull’Ucraina ora che non ha un presidente amico al governo. I rapporti tra Stati Uniti e Russia si sono quindi improvvisamente raffreddati, con l’Unione Europea schierata con gli Usa, ma su una posizione più dialogante a causa delle strette relazioni economiche con il vicino russo.
Lo scorso 11 febbraio, a Minsk, in Bielorussia, si sono incontrati Putin e l’attuale presidente ucraino Poroshenko, per trovare un accordo per un cessate il fuoco in Ucraina. Nelle vesti di mediatori, erano presenti anche la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande. Il documento finale, firmato anche dai ribelli filo-russi, prevede il mantenimento dell’integrità ucraina, insieme alla concessione di uno status speciale per le regioni orientali, oltre al ritiro delle armi pesanti. La tregua è entrata in vigore il 15 febbraio, ma dopo quella data si sono segnalati nuovi scontri, seppur circoscritti.

 

Insomma, la situazione in Ucraina è di difficile risoluzione e, nonostante il recente rilassamento, la tensione è ancora ben lungi dal dissiparsi. Le ragioni principali dietro agli scontri sono da ricercarsi nei continui tentativi delle potenze occidentali e della Russia di estendere la propria egemonia su fette sempre più grandi del territorio, facendo leva sulla sovranità popolare di una nazione da sempre divisa nelle opinioni politiche e nelle tradizioni.
Ciò che è certo è che coloro che ne soffrono più di chiunque altro sono civili innocenti. Negli ultimi mesi ci sono arrivate immagini scioccanti di bombardamenti compiuti anche all’interno di centri abitati e il numero delle vittime continua a salire.
Dall’inizio del conflitto ad oggi, più di 5.100 persone hanno perso la vita, e più di 900.000 sono state costrette ad abbandonare la propria casa.
La crisi Ucraina si sta rivelando sempre più inquietante non soltanto per la sua vicinanza geografica con il nostro Paese, ma anche per le conseguenze geopolitiche che un nuovo conflitto tra Russia e Stati Uniti potrebbe comportare.

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The Islamic State or ‘Isis’, as it is more commonly called, is a terroristic group of recent formation, active mainly in the territories of Syria and Iraq. In the last months, its fame spread to all over the world because of the brutality of its operations and the peculiarity of its targets. Let’s find them out together.

THE HISTORY
Even if the name ‘Isis’ may sound new to the ears of many people, the formation of this terroristic group is set in 2000.
Before giving birth to the Islamic State, a lot of its members used to belong to another well-known organization, Al-Qaeda, the group lead by Osama Bin Laden. They both shared the precept of Jihad, interpreting it in the most radical way, as a holy war against infidels. The modern Isis members, though, were considered too radical even by Bin Laden. Among its main targets there was (and there still is) the genocide of the Shiites, an islamic minority, while Al-Qaeda only meant to convert them.
Later, Isis power grew mostly thanks to two really important events: the abandonment of Iraq by the American Army and the recent civil war in Syria. Using this war as a disguise, a lot of mosques and private citizens have sent money to the organization, giving it new life.

ISIS TODAY
The Isis main goal is to form a real state that will cover the lands of Iraq, Syria, Jordan, Lebanon and Israel. Besides, it has the intention of expanding its power also on Europe and Rome, the head of christianity. This empire would be ruled by a caliph under the rules of salafitian Islam, a radical, very traditionalist and anti-Western interpretation of the Coran. The 29th of june of 2014 the organization has released a declaration for caliphate’s restoration, after which it wants to be known only as IS: ‘Islamic State’. The current caliph, Abu Baur Al-Baghdadi Al Qurashi (or more easily Al-Baghdadi), is one of the greatest experts in the world of Islamic law.
Together with the intention of restoring the caliphate, Isis has shown a great ostility for a great number of different populations, if not a precise aim for killing: they consider shiites to be their number one enemy and they deem their doctrin as eresy that needs to be wiped away.
Moreover, Isis sees in the middle east dictators a ‘close enemy’ and in the western countries a ‘remote enemy’, respectively less important than the islamic minorities.
The reasons why the Islamic State is considered a threat are also the resorces that it has, together with its intentions: right now it counts more than 50’000 unities between muslim volunteers and foreign fighters who come from all around the world. The news that some of them were also from Europe and America created some disarray. Isis also has a treasure that should amount to around 2 milions Euros, and the favour of a lot of financiers from the persian gulf. This makes it the richest jihadistic group in the world. This fortune comes mostly from the possession of oil wells in the zone, but also the almost total monopoly of the local agriculture and other markets; then they regularly practice a number of criminal activities, like extortions, kidnappings and robberies.

THE ADVANCE
Isis came to the newspapers’ front pages last summer, when it started conquering lots of cities in Syria and Iraq. Every time it succeeded in putting its hands on a territory, it imposes to the population a choice: exile or conversion to Islam. The minorities, like the yazidis, were forced to leave everything behind and flee. Isis is also responsible for a lot of mass killings. Groups of women were kidnapped to be sold as slaves.
The continuous violations of human rights, the military attacks to the nearer regions and the threats to the other countries, made the West bound to take a stand. President Obama has created a coalition of 40 states to fight against Isis. At the beginning, these states only gave humanitarian help to populations under attack, then some of them have started giving weapons to Peshmerga, the curds fighters that are trying to defend themselves.
Finally, other countries like United States and United Kingdom are now offering help to the peshmerga with aerial bombing. To convince them to stop, the islamic state militiamen have beheaded some journalists and humanitarian operators after kidnapping them.

In conclusion, the development of this organization has caused a destabilization of the Near East, that seems doomed to live other years of uncertainty. For now the Islamic State doesn’t look like an immediate threat to western countries and, despite the clear violations of human rights, it’s difficult to fight directly against it without upsetting the public opinion and perturbing the economical balance.

Adapted by Fabio Fontana and Emilio Frattallone
Translated by Sofia Aria

Lo Stato Islamico o “Isis”, come viene più comunemente chiamato, è un gruppo terroristico di recente formazione, attivo principalmente nei territori della Siria e dell’Iraq. Negli ultimi mesi si è fatto conoscere a livello internazionale per la brutalità delle sue operazioni e per la peculiarità dei suoi obiettivi. Scopriamoli insieme.

Nonostante il nome “Isis” possa suonare nuovo alle orecchie di molte persone, la formazione di questo gruppo terroristico risale all’anno 2000. Prima di fondare lo Stato Islamico, molti membri dell’Isis appartenevano ad un’altra organizzazione ben più nota in quegli anni: Al-Qaida, il gruppo guidato da Osama Bin Laden. Entrambi condividevano il precetto della jihad, interpretandolo in chiave estremista come “guerra santa” contro gli infedeli. I membri dell’attuale “Isis”, però, furono considerati troppo radicali persino da Bin Laden. Basti pensare che tra i loro obiettivi principali vi era (e vi è ancora oggi) lo sterminio degli Sciiti, una minoranza islamica, quando Al-Qaida intendeva invece limitarsi alla loro conversione.
Nel corso degli anni successivi, l’Isis è cresciuta di potere soprattutto grazie a due grossi avvenimenti: l’abbandono dell’Iraq da parte delle truppe americane e la recente guerra civile in Siria. Utilizzando quest’ultima come copertura, molte moschee e cittadini privati hanno finanziato l’organizzazione, dandole nuova linfa vitale.

L’obiettivo principale dell’Isis è quello di formare un vero e proprio stato che comprenda le terre dell’Iraq, della Siria, della Giordania, del Libano e di Israele. Inoltre, cova l’intenzione di espandere il proprio potere anche sui territori europei, compresa Roma, capitale della cristianità.
Tale impero sarebbe governato da un califfo secondo i precetti dell’Islam salafita: una reinterpretazione radicale, tradizionalista e fortemente anti-occidentale del Corano.
Il 29 giugno di questo stesso anno, l’organizzazione ha emanato una dichiarazione di restaurazione del califfato, dopo la quale ha preteso di essere chiamata semplicemente “IS”: “Stato Islamico”. L’attuale califfo è Abu Bakr al-Baghdadi al Quraishi (o più semplicemente al-Baghdadi), uno dei maggiori esperti al mondo di diritto islamico.
Insieme all’intenzione di restaurare un califfato, l’Isis ha mostrato anche grande ostilità nei confronti di numerose popolazioni, se non addirittura una precisa volontà di sterminio: essi considerano gli Sciiti il loro nemico principale e interpretano la loro dottrina come un’eresia da sradicare. Inoltre, vedono anche nei dittatori medio-orientali un “nemico vicino”, e nei paesi occidentali un “nemico lontano”, rispettivamente meno prioritari delle minoranze islamiche.
Le ragioni per cui lo Stato Islamico è considerato un pericolo sono anche le risorse di cui dispone, insieme alle sue intenzioni: attualmente esso conta più di 50.000 unità fra volontari musulmani e combattenti stranieri provenienti da tutto il mondo. Ha fatto scalpore la notizia che alcuni di essi arrivassero anche dall’Europa e dagli Stati Uniti. Possiede inoltre un tesoro che ammonterebbe a più di 2 miliardi di euro, nonché il favore di numerosi finanziatori fra i paesi del golfo persico. Ciò lo rende il gruppo Jihadista più ricco al mondo. Tale fortuna gli deriva principalmente dal controllo di numerosi pozzi petroliferi nella zona, ma anche dal quasi totale monopolio dell’agricoltura locale e di diversi altri mercati; inoltre essi praticano regolarmente numerose attività illecite, fra le quali l’estorsione, il rapimento di ostaggi e rapine.

L’Isis è salito agli onori delle cronache durante la scorsa estate, quando ha iniziato a conquistare diverse città tra la Siria e l’Iraq. Ogni volta che è riuscito a mettere le mani su un territorio, ha imposto la scelta alla popolazione non islamica tra la conversione e l’esilio. Molte minoranze, come gli yazidi, sono state costrette a lasciare tutto per fuggire. L’Isis si è reso responsabile anche di molte uccisioni di massa. Gruppi di donne sono state rapite per essere poi rivendute come schiave.
Le reiterate violazioni dei diritti umani, i continui attacchi militari alle regioni circostanti e le costanti minacce all’Occidente lo hanno costretto a prendere una posizione. Il presidente Obama ha voluto creare una coalizione di 40 stati per lottare contro l’Isis. Inizialmente, questi si sono limitati a portare aiuti umanitari alle popolazioni assediate, in seguito alcuni (fra cui l’Italia) hanno fornito delle armi ai peshmerga, i combattenti curdi che cercano di difendersi. Infine altri paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno cominciato a fornire supporto ai peshmerga attraverso dei bombardamenti aerei. Per convincerli a desistere, i miliziani dello Stato Islamico hanno decapitato alcuni giornalisti e operatori umanitari precedentemente rapiti.

In conclusione, lo sviluppo di questa organizzazione ha causato un’ulteriore destabilizzazione del vicino oriente, che sembra destinato a vivere ancora altri anni di incertezza; per adesso lo Stato Islamico non sembra costituire una minaccia diretta per i paesi occidentali e, nonostante le palesi violazioni di diritti umani compiute, è difficile intervenire direttamente contro di esso senza contrariare l’opinione pubblica e turbare gli equilibri economici.

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