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Anche quest’anno si stanno per riaprire i seggi elettorali. L’8 e il 9 giugno saremo chiamati alle urne per scegliere chi ci dovrà rappresentare nel Parlamento Europeo per i prossimi cinque anni: è quindi il caso di fare una scelta ben informata.

COSA SI VOTA

La prima cosa da capire è per cosa stiamo votando. Sono 76 i membri italiani che eleggeremo all’interno del Parlamento Europeo, che sarà composto in tutto da 720 parlamentari provenienti da tutti i 27 paesi membri dell’Unione Europea.

Cosa fa l’Europarlamento? Il suo compito fondamentale è approvare la legislazione europea, principalmente sotto forma di direttive e regolamenti. Ma, a differenza dei normali parlamenti, non può decidere da solo: ogni proposta deve essere approvata anche dal Consiglio dell’Unione Europea, che è l’organo dove siedono i ministri dei singoli stati, con un voto a testa. I ministri sono quelli che si occupano dell’argomento che si tratta in quel momento, naturalmente. Le proposte di legge da inviare a questi organi le scrive la Commissione Europea, che è considerata il governo dell’unione. A monte del Consiglio dell’Unione Europea c’è invece il Consiglio Europeo, dove periodicamente si riuniscono i leader dei 27 paesi membri e insieme prendono le decisioni politiche più importanti e che saranno poi tradotte in legge dagli altri organi.

Insomma, il funzionamento dell’Ue è piuttosto complesso. Ma non a caso: ci si vuole infatti assicurare che sulle scelte che vengono fatte ci sia il massimo di condivisione possibile fra tutte le parti in gioco: cittadini, stati, partiti.

Va ricordato poi che le istituzione europee non possono decidere su tutto: i trattati che hanno fondato l’Ue sono stati scritti definendo precisamente le materie di competenza dell’Unione e quelle di competenza dei singoli stati membri. Per esempio, l’Ue ha carta bianca su temi come il commercio interno ed esterno, le regole della concorrenza tra le imprese e quelle fondamentali su agricoltura e pesca. Altri ambiti invece vedono solo un potere di indirizzo generale, come in campo economico, e sono poi gli stati a scrivere norme più dettagliate. La maggior parte delle decisioni che influenzano le nostre vite però sono ancora prese in toto a livello nazionale: dal mercato del lavoro alla giustizia, dalle pensioni alla sanità, dalla sicurezza all’istruzione.

I PARTITI

Una volta che i 720 eletti entreranno nell’aula di Strasburgo non si divideranno in base al paese di provenienza, come si fa nel Consiglio, ma aderiranno ciascuno ad un gruppo con cui condividono le stesse idee politiche. Come a livello nazionale, infatti, anche in Europa ci si divide in partiti politici che vanno da destra a sinistra, passando per il centro, e che sono sostengono in misura più o meno forte il processo di integrazione europea. Vediamo quali sono attualmente i gruppi dell’Europarlamento, in ordine di grandezza, e quali partiti italiani vi aderiscono.

• Quello più grande è formato dal Partito Popolare Europeo, di centro-destra ed europeista, a cui fa riferimento per il nostro paese Forza Italia.
• Gli fa da contraltare, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici, che è di centro-sinistra ma anch’essa europeista. Vi aderisce il Partito Democratico italiano.
• In mezzo ai due, troviamo Renew Europe, forse il più europeista di tutti, con posizioni di centro e liberali. A quest’area fanno riferimento liste come “Stati Uniti d’Europa”, composta da Radicali e Italia Viva, e “Azione” di Carlo Calenda.
• Alla sua sinistra, abbiamo i Verdi, che si ispirano agli ideali ambientalisti e progressisti. Al momento al loro interno non si contano rappresentanti di partiti italiani, ma vi fa riferimento la lista italiana dei Verdi che a queste elezioni si presenta insieme a Sinistra Italiana nell’Alleanza Verdi-Sinistra.
• Abbiamo poi l’Ecr, il gruppo di Conservatori e Riformisti, che è conservatore ed euroscettico. Al suo interno ha uno spazio importante Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
• Molto vicino ad esso, troviamo Identità e Democrazia, un gruppo di ispirazione sovranista e di estrema destra fondato dal francese Rassemblement National e dalla Lega italiana.
• Dal lato opposto, abbiamo il gruppo della Sinistra, che riunisce vari partiti socialisti e comunisti.
• C’è infine un folto ed eterogeneo gruppo di “non iscritti”, dove confluiscono tutte quei parlamentari che non se la sentono di aderire, per un motivo o per l’altro, ai gruppi che è stato possibile formare. Vi rientra per esempio il Movimento 5 Stelle.

Fra i compiti dell’Europarlamento c’è quello di dare la fiducia alla Commissione Europea, quindi anche a Strasburgo così come nei parlamenti nazionali, l’aula si divide fra maggioranza e opposizione. L’attuale Commissione guidata da Ursula von der Leyen è sostenuta dal Partito Popolare, dai Socialisti e Democratici e da Renew Europe.

I TEMI

Anche se sono elezioni per il Parlamento Europeo, ogni paese organizza le proprie elezioni, con i propri partiti nazionali. Questo implica che spesso anche le campagne elettorali e il voto dei cittadini riguardino più i temi interni che quelli europei. Tuttavia, esistono problemi che vanno affrontati a livello comunitario e sui quali le istituzioni europee possono essere decisive. Vediamone qualcuno.

Innanzitutto c’è il tema che, secondo l’Eurobarometro, è quello prioritario per i cittadini europei: l’economia. L’Ue svolge un ruolo importante nel coordinare le 27 economie dei paesi membri, ma soprattutto le 20 economie che adottano l’euro. Infatti, per poter funzionare, la moneta unica ha bisogno che tutti i paesi che la utilizzano marcino di pari passo, che nessuno si indebiti in maniera eccessiva, perché se un’economia finisse a gambe all’aria trascinerebbe con sé tutte le altre. Per questo alla Commissione Europea è affidato il compito di marcare stretti i governi nazionali, in modo tale che rispettino le regole comuni, riassunte nel cosiddetto Patto di Stabilità. Quanto queste regole devono essere strette è un tema di dibattito politico, anche se le differenze non si vedono tanto fra destra e sinistra, ma più fra i paesi del Nord e del Sud Europa con i primi che, grazie ai loro surplus commerciali, godono di bilanci più sani e chiedono quindi regole più ferree per i secondi che invece faticano a seguirle.

Un altro grande tema è l’immigrazione. Infatti, per chi fugge da guerra e fame o è semplicemente in cerca di condizioni di vita migliori, l’Europa è un punto di arrivo. Ma i copiosi flussi degli ultimi anni sono oggetto di ampi dibattiti nel continente, generando un frattura tra partiti di estrema destra che si definiscono sovranisti e che vogliono limitare al massimo l’immigrazione da paesi extra-europei, e quelli più moderati. A livello europeo, c’è poi una frattura tra i paesi di primo approdo, cioè quelli dove i migranti fisicamente arrivano (come Italia, Grecia e Spagna), e quelli interni, in particolare dell’Est Europa, che si rifiutano spesso di condividere l’onere dell’accoglienza.

Fra le questioni da affrontare a livello comunitario non possiamo non annoverare l’ambiente. Sappiamo tutti come il surriscaldamento globale sia un problema da affrontare urgentemente se non vogliamo che le generazioni future si ritrovino a vivere su un pianeta inabitabile. E se è difficile che l’Europa possa risolverlo da sola, è impensabile che lo possano fare i singoli stati membri. La Commissione ha promosso un piano detto Green Deal Europeo che mira a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma devono essere prese ancora molte misure perché si possa centrare questo obiettivo. Su questo tema però c’è una sensibilità maggiore tra i partiti ambientalisti e di sinistra e minore a destra, con i partiti sovranisti che si oppongono per la gran parte.

Un’altra materia di interesse per l’intera unione è la politica internazionale e, in particolare, la guerra in Ucraina. Come e quanto sostenere l’Ucraina nella sua guerra di liberazione contro l’invasione russa è un tema che ha creato frizioni tra i diversi governi nazionali. Se da una parte c’è il timore di un’escalation con una potenza nucleare come la Russia, dall’altra c’è la volontà di aiutare un paese attaccato brutalmente e sbarrare la strada all’espansionismo imperialista di Putin. Su questo tema, i partiti con posizioni moderate sono quelli più intransigenti nei confronti del regime russo, mentre l’estrema sinistra e l’estrema destra hanno posizioni più “pacifiste”. C’è anche una diversità di vedute fra i vari paesi: chiedono maggiore sostegno all’Ucraina i paesi che confinano con essa e con la Russia, mentre vi si oppongono alcuni paesi guidati dall’estrema destra.

Il principale di questi è l’Ungheria, che ci porta all’ultimo tema che affronteremo, quello del rispetto dello stato di diritto. Da quando è tornato in carica come primo ministro nel 2010, Viktor Orbán ha promosso riforme volte a trasformare il paese in uno stato semi-autoritario, limitando il potere della magistratura e della stampa e accentrando il controllo dell’economia nella mani del governo, anche degli ingenti fondi europei che vengono distribuiti in base a criteri di fedeltà politica agli amici degli amici. Davanti a questa deriva illiberale, le istituzioni europee hanno armi spuntate: oltre a non poter far molto per invertire il processo, spesso le decisioni a livello europeo in un’ampia gamma di settori sono sottoposte ai veti ungheresi. Per questo, da molte parti si chiede che i processi con cui vengono prese le decisioni a livello comunitario siano sempre meno vincolate all’unanimità di tutti i paesi.

INFORMAZIONI UTILI

In tutta Europa il sistema elettorale, ossia la formula che trasforma i voti in seggi, è di tipo proporzionale: se un partito ad esempio prende il 20% dei voti, avrà il 20% dei posti in parlamento. Questa suddivisione avviene su base nazionale, infatti sulla scheda troveremo i partiti che siamo abituati a votare per le elezioni interne. Questi però potranno far sedere i propri rappresentanti a Strasburgo solo se prenderanno almeno il 4% dei voti (è la cosiddetta soglia di sbarramento).

Ma come si scelgono i singoli parlamentari? Il territorio italiano viene diviso in 5 circoscrizioni: nord-ovest, nord-est, centro, sud e isole. In ciascuna di esse, ogni lista presenta un elenco di candidati, tra cui l’elettore può esprimere fino a tre preferenze, scrivendo il nome sulla scheda. Ma, in caso di due o tre preferenze, almeno una deve essere di sesso diverso dalle altre, pena l’annullamento dell’ultima.

I seggi saranno aperti sabato 8 giugno dalle 15 alle 23 e domenica 9 dalle 7 alle 23. Per votare è necessario avere con sé un documento di riconoscimento e la tessera elettorale.

CONCLUSIONE

Questa era solo un’infarinatura per arrivare preparati al voto di giugno. L’invito è di provare a abbassare il volume del chiacchiericcio politico e approfondire le questioni che realmente influiscono sul nostro futuro come cittadini italiani ed europei e poi fare una scelta consapevole in cabina elettorale.

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Con l’emergenza coronavirus ancora in atto, il dibattito politico si è concentrato giustamente su quello. Tra un tweet e l’altro però si è tornati a parlare anche di cose astruse come gli eurobond e il famigerato Mes. E non a caso. L’isolamento richiesto dalla lotta al virus ci ha costretti a rallentare di molto tutta l’economia e ci ha fatto sprofondare in una crisi economica. Ma differenza del 2008, quando la crisi ci ha colto alla sprovvista e le prime misure per contrastarla sono arrivate dopo troppo tempo, soprattutto in Europa, stavolta sembra che la politica abbia capito che serve fare qualcosa subito.


Il governo italiano ha messo in campo a marzo misure per circa 20 miliardi d’euro, più 550 miliardi di garanzie per i prestiti alle imprese, mentre a giorni è atteso un intervento ancora più decisivo nell’orbita dei 50 miliardi. Secondo le stesse stime del governo, questo porterà il deficit dello stato, cioè la differenza tra uscite ed entrate, al 10,4% del Pil (nel 2019, era dell’1,6 per dire). Ciò farà esplodere il debito pubblico, passando dal 134,8% del Pil nel 2019 al 155,7% nel 2020.
Questo significa che, se da una parte lo stato perde introiti perché lavorando di meno i cittadini pagano meno tasse, dall’altra gli è richiesto uno sforzo economico maggiore, cioè più uscite, per aiutare chi è in difficoltà e far ripartire l’economia il più presto possibile. Davanti a questa situazione, è opinione diffusa che l’Italia non ce la possa fare da sola e abbia bisogno di un aiuto da parte dell’Europa. Il come farsi aiutare però è oggetto di dibattito. Gli strumenti di cui più si parla sono due: il Mes e gli eurobond, che qualcuno ha rinominato per l’occasione “coronabond”.


Per capire cosa è il Mes dobbiamo tornare un po’ indietro nel tempo. Nel 2011-2012 la crisi economica cominciò a creare problemi finanziari ad alcuni stati dell’Eurozona, ossia quei paesi dell’Unione Europea che adottano la moneta unica. Dal momento che i paesi dell’euro hanno una banca centrale in comune, ogni stato non può decidere da sé di mettersi a stampare più moneta e questo spinse i mercati a dubitare che questi potessero ripagare i loro ingenti debiti pubblici senza l’ancora di salvezza di creare soldi per farlo. Ciò portò in alto i tassi di interesse che alcuni stati come Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Cipro e Irlanda dovevano pagare sui loro titoli di stato per rifornirsi di capitali, fino a renderli quasi insostenibili. L’Europa realizzò che se uno di questi paesi fosse crollato, avrebbe portato con sé tutto il continente. Si decise quindi di costruire un fondo salva-stati, che diventò poi il Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità). Con un capitale di 700 miliardi versato in quote da tutti i paesi della zona euro, il Mes può correre in soccorso dei paesi in difficoltà fornendogli dei prestiti a tassi vantaggiosi. L’ha fatto con tutti i paesi citati tranne l’Italia. Questi aiuti però non sono senza condizioni, anzi. Lo stato che attiva il Mes deve firmare un memorandum d’intesa con la famigerata troika: Commissione europea, Bce e, se entra nell’accordo, Fmi. Questo accordo prevede una serie dettagliata di riforme che il paese deve mettere in atto e dei limiti di bilancio che deve rispettare.
Gli effetti più estremi di questo meccanismo si possono vedere in Grecia. Lì i governi avevano truccato i conti pubblici per anni e, quando la cosa si seppe, nessuno volle più prestare soldi allo stato ellenico e ciò lo spinse sull’orlo della bancarotta. Gli aiuti del fondo salva-stati arrivarono per salvare sì la Grecia, ma anche le banche di tutto il continente che avevano in pancia i suoi titoli, i quali sarebbero presto diventati spazzatura. In cambio dell’assistenza finanziaria, alla Grecia furono richieste ampie e profonde riforme che si tradussero in tagli allo stato sociale, gli ospedali, alle scuole, ai sussidi per gli strati più deboli della popolazione. È questo il motivo per cui molti oggi vedono il Mes come fumo negli occhi. Temono infatti che, se l’Italia avesse mai bisogno di aderirvi, perderebbe sovranità, dovendo accettare decisioni prese altrove.


Al posto del Mes molti in Italia preferirebbero parlare di eurobond, che però non riscuotono lo stesso successo in altri paesi europei. Nei piani di chi li propone, gli eurobond dovrebbero essere una specie di titoli di stato non emessi da un singolo paese ma dall’Unione Europea nel suo complesso. I paesi membri dell’Ue si indebiterebbero tutti insieme e, questo è il sottotesto, i soldi andrebbero a chi ne ha più bisogno, i paesi del Sud Europa. E questo ci porta alla frattura che si è creata nel nostro continente dal momento in cui si è cominciato a dover correre in soccorso di alcuni paesi membri con difficoltà economiche: quella fra i paesi del Nord e i paesi del Sud dell’Europa. Con i primi che non vogliono indebitarsi per salvare i secondi, considerati inefficienti, spreconi e corrotti, e i secondi che si sentono danneggiati dalla moneta unica e chiedono l’aiuto e la solidarietà europea. Sono due posizioni contrapposte che hanno entrambe torti e ragioni. L’unico modo di sanare il conflitto è quello di trovare un compromesso e i primi passi in questa direzione sono stati fatti alcuni giorni fa, su spinta dell’emergenza in corso a causa del coronavirus.


Bei, Mes e Sure: in tre acronimi sono queste le misure per 540 miliardi decise dall’Eurogruppo, ossia la riunione dei ministri dell’economia dell’eurozona. La Bei è la Banca Europea degli Investimenti, che sarà incaricata di reperire fondi sui mercati per aiutare le imprese europee. Il Sure, invece, è una primissima e limitata forma embrionale di eurobond: gli stati membri forniranno alla Commissione Europea fino a 25 miliardi di garanzie, che essa userà per emettere titoli e raccogliere fondi per finanziare la cassa integrazione dei paesi in difficoltà, a cui saranno fatti dei prestiti a lungo termine. Infine, sono state introdotte delle modifiche al Mes, che permetteranno agli stati di chiedere prestiti per un totale di 240 miliardi (36 per l’Italia) senza condizioni, tranne quella di usare i soldi solo per le spese sanitarie dirette e indirette. Per il nostro paese, accedere a questi finanziamenti farebbe risparmiare quattrini, perché essi avrebbero dei tassi di interesse più bassi di quelli che paghiamo sui titoli di stato italiani. Tuttavia, l’Italia e gli altri paesi del Sud Europa difficilmente chiederanno di ricorrere al Mes per una serie di ragioni. Innanzitutto, per una questione di principio: per tutta la trattativa i paesi del Sud hanno spinto per gli eurobond e attivare il Mes significherebbe accettare che una maggiore integrazione europea passi di fatto da un debito contratto coi paesi del Nord. In secondo luogo, non è ancora chiarissimo fino a che punto il Mes sia senza condizioni; al momento c’è solo qualche riga di annuncio, ancora non ci sono i dettagli tecnici. Infine, chiedendo un prestito al Mes, sorgerebbe un problema di reputazione, sia nei confronti dei mercati, che potrebbero cominciare a pensare che i paesi del Sud Europa fatichino a ripagare i loro debiti, sia nei confronti degli avversari politici, che accuserebbero chi sta al governo di cedere ulteriore sovranità all’Europa.


Insomma, nonostante le novità introdotte, probabilmente il Mes non verrà utilizzato. Ma se il Mes esce di scena, gli eurobond potrebbero entrarci. Prima l’Eurogruppo e poi il Consiglio Europeo dei capi di stato e di governo di tutti i paesi Ue hanno previsto l’istituzione di un fondo europeo per la ripresa, da finanziare con “strumenti innovativi”, tra cui potrebbero esserci proprio gli eurobond. Ma le trattative sul fondo prenderanno settimane e forse mesi, quindi dovremo aspettare un po’ per sapere se si concretizzerà in questa forma. Ciò che conta è che, anche se è stata necessaria una gravissima emergenza come quella del coronavirus e sebbene lo stia facendo a piccoli passi, l’Europa ha capito che per funzionare ha bisogno di integrarsi di più e avere maggiore solidarietà al suo interno. Sperando che questo basti a superare la difficile fase che stiamo attraversando.

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È primavera inoltrata: gli alberi fioriscono, le giornate si allungano e le urne per nuove elezioni si apriranno presto. Quest’anno è il turno delle europee: domenica 26 maggio saremo chiamati a decidere la nuova composizione dell’Europarlamento. In questo video vedremo a cosa serve il Parlamento Europeo, i partiti tra cui potremo scegliere e quali sono i temi caldi su cui si giocheranno queste elezioni. Continua a leggere

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Commenta il video qui sotto oppure sui social network con l”hashtag #muovereleidee.

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