Referendum 2025 su lavoro e cittadinanza

 

Gli stessi due giorni in cui le grandi città sceglieranno ai ballottaggi il loro nuovo sindaco, l’8 e il 9 giugno, anche tutti gli altri italiani saranno chiamati ai seggi per tracciare una croce sul “sì” o sul “no” sotto 5 quesiti referendari su temi come il lavoro e la cittadinanza. Qui approfondiremo su cosa si vota nello specifico, vedremo le posizioni dei vari partiti e raccoglieremo un po’ di informazioni utili sul voto.

 

QUESITO N. 1 – Reintegro nei casi di licenziamento illegittimo

Dei 5 quesiti che troveremo ai seggi, quattro sono sul lavoro e sono stati promossi dal più grande sindacato italiano, la Cgil, che è riuscita a raccogliere più di quattro milioni di firme, sebbene ne bastassero 500 mila. Due di questi quesiti vanno a smontare dei pezzi del cosiddetto Jobs Act, la riforma varata dal governo Renzi tra il 2015 e il 2016 per rendere più flessibile il mercato del lavoro, riducendo le tutele contrattuali dei lavoratori con l’idea che ciò avrebbe aumentato le assunzioni.

Il primo quesito verte su quello che succede quando, in un’azienda con più di 15 dipendenti, un lavoratore viene licenziato per giusta causa, questo fa ricorso al giudice, il quale dichiara l’assenza di questa giusta causa. Fino al 7 marzo 2015, al lavoratore ingiustamente licenziato spettava sia un risarcimento che la reintegrazione sul posto di lavoro. Con il Jobs Act però, la reintegrazione è stata depennata dalla normativa per tutti quelli che sarebbero stati assunti da quel momento in poi. In questi dieci anni quindi, l’operaio, l’impiegato o il quadro lasciato a casa dal datore di lavoro illegittimamente è stato sì risarcito del danno ma ha dovuto trovarsi un altro posto. Col referendum, si vorrebbe obbligare il datore di lavoro a riammettere in azienda il lavoratore licenziato senza giusta causa.

 

QUESITO N. 2 – Indennità nei casi di licenziamento illegittimo

Anche il secondo quesito vuole tutelare il lavoratore dai licenziamenti ingiusti, ma lo fa per quelli assunti nelle imprese con 15 dipendenti o meno, che non hanno nemmeno mai goduto della possibilità del reintegro. In queste aziende, infatti, esiste un limite massimo al risarcimento che il datore di lavoro deve pagare nel caso in cui il giudice dichiari l’assenza di una giusta causa per il licenziamento. Questo limite è di sei mensilità dello stipendio del lavoratore. Il referendum vorrebbe abolire questo tetto e lasciare che sia il giudice, in autonomia, a calcolare l’indennità che spetta al lavoratore, in base a criteri come l’età, la famiglia e le capacità economiche dell’azienda.

 

QUESITO N. 3 – Causale per i contratti a tempo determinato

Il terzo quesito interviene ancora sul Jobs Act e in particolare sulle norme che regolano l’utilizzo del contratto a tempo determinato. Infatti, oggi le imprese possono assumere un lavoratore anche per pochi mesi, fino ad un massimo di 12, senza dover giustificare questo termine in alcun modo, nonostante la legge preveda che il contratto standard, per così dire, sia quello a tempo indeterminato. Solo se il contratto a termine, comprese le eventuali proroghe, supera i 12 mesi (potendo arrivare al massimo a 24), il datore di lavoro deve motivare l’utilizzo di questo tipo di contratto con una “causale”. La causale ha una certa importanza perché può essere potenzialmente sindacata anche in giudizio, con il rischio per il datore di lavoro di vedere trasformare il contratto del lavoratore in uno a tempo indeterminato se il giudice dovesse dichiararla illegittima. Il referendum mira ad estendere la necessità della causale a tutti i contratti a tempo determinato, sia fatti da nuovo sia prorogati, con l’obiettivo di favorire il contratto a tempo indeterminato e diminuire così il precariato. Viene previsto inoltre che la causale non possa essere inventata di sana pianta dalle parti, ma debba essere prevista dal contratto collettivo nazionale.

 

QUESITO N. 4 – Sicurezza sul lavoro negli appalti

Il quarto quesito riguarda gli indennizzi ai lavoratori che subiscono un infortunio, quando questi sono dipendenti di un’impresa che sta svolgendo un lavoro per un’altra, ossia quando vi è un appalto, o addirittura un subappalto. Oggi, quando non è l’Inail a pagare l’indennizzo, perché viene riconosciuta una qualche responsabilità dell’impresa che impiega il lavoratore, spetta solo a questa doverlo pagare, senza coinvolgere chi conferisce l’appalto. Il referendum ha l’obiettivo di rendere responsabile tutta la catena di appaltatore, appaltante e subappaltante, anche quando l’infortunio derivi da un rischio specifico presente solo nell’impresa che ha assunto il lavoratore. Secondo i promotori, questa modifica alla legge è necessaria perché spesso gli appalti vengono dati ad aziende piccole e improvvisate, che non rispettano fino in fondo tutte le norme antinfortunistiche e magari non hanno nemmeno i soldi per pagare i risarcimenti. La riforma così farebbe in modo che l’impresa committente, di solito quella con più da perdere, si impegni a garantire una maggiore sicurezza sul luogo di lavoro.

 

QUESITO N. 5 – Tempistica per la richiesta di cittadinanza

Con il quinto e ultimo quesito si cambia completamente argomento. È anche l’unico che non è stato promosso dalla Cgil, ma da un gruppo di partiti e associazioni guidato da Più Europa. Le più di 637 mila firme che hanno permesso di svolgere questo voto sono state raccolte quasi completamente online, grazie all’apposita piattaforma pubblica di recente introduzione.

Questo quesito riguarda le modalità con cui uno straniero in Italia può essere “naturalizzato”, ossia può acquisire la cittadinanza italiana. Per chi non ha genitori o nonni italiani o non si sposa con un italiano, l’unico modo di diventarlo è quello di risiedere nel territorio nazionale da almeno dieci anni, oltre ad essere in grado di parlare la lingua, non avere condanne penali o debiti col fisco e di non essere un pericolo per la sicurezza della Repubblica. Ma il requisito dei dieci anni (che vale per i cittadini extracomunitari) è stato aumentato nel 1992, mentre prima era di cinque anni. Il proposito del referendum è proprio riportare la tempistica a 5 anni.

Ma quali sono le ragioni di chi ha proposto questo referendum? Di per sé, acquisire la cittadinanza non comporta nessun miglioramento dal punto di vista economico (i vari sussidi o l’accesso al Sistema Sanitario Nazionale vengono attribuiti in base alla residenza, non alla cittadinanza). I due vantaggi principali della cittadinanza sono l’acquisizione del diritto di voto e di ricoprire cariche pubbliche e la possibilità di muoversi liberamente nel resto d’Europa, in quanto con la cittadinanza italiana si ottiene anche quella europea. Quindi la cittadinanza, per i promotori del referendum, ha un forte valore simbolico, volto a garantire una maggiore integrazione degli stranieri che vivono qui da anni, anche considerando che la tempistica dei cinque anni sarebbe più in linea con quella degli altri paesi europei, come Francia e Germania.

Chi è contrario a questa riforma, invece, sostiene che la cittadinanza sia un diritto che non vada “regalato” tanto facilmente e dieci anni è un tempo congruo per ottenerla. Si fa anche notare che l’Italia è uno dei paesi europei che conferisce più cittadinanze, ma questo si può spiegare con la relativa facilità (almeno fino alla recente modifica della normativa) con cui questa può essere ottenuta da discendenti di emigrati all’estero che possano dimostrare di avere almeno un nonno di origine italiana.

 

LE POSIZIONI DEI PARTITI

Vediamo quali sono le prese di posizione dei vari partiti su questa consultazione referendaria. Per quanto riguarda i quesiti sul lavoro, invitano i propri elettori a votare per il “sì” le forze del centrosinistra: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Più Europa. Si schiera per il “no” solo Italia Viva di Renzi, l’autore del Jobs Act che questi referendum mirano a smontare. Non è chiara invece la posizione di Azione. Dalla parte dei contrari, troviamo anche tutti i partiti del centrodestra: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.

Passando poi al quesito sulla cittadinanza, le posizioni sono la fotocopia di quelle sul lavoro, con due significative eccezioni: Italia Viva che si schiera per il “sì” e il Movimento 5 Stelle che sulla cittadinanza lascia libertà di scelta ai propri elettori.

 

INFORMAZIONI UTILI

Quelli che si svolgeranno quest’anno saranno referendum abrogativi: sulla scheda ci verrà chiesto se siamo d’accordo a cancellare delle leggi o alcune loro parti per ottenere le riforme di cui abbiamo parlato. Questo tipo di referendum ha però un inghippo, il cosiddetto quorum, ossia una soglia minima di persone che dovranno andare a votare perché il risultato abbia effetto. Se questo quorum, che è il 50% più uno degli aventi diritto al voto, non verrà raggiunto, sarà come se i referendum non si fossero nemmeno svolti. Per questo molti elettori o partiti contrari alle modifiche proposte, piuttosto che andare a votare “no”, propenderanno per l’astensione, per avere più chances di affondare le riforme.

I seggi saranno aperti domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. Lo spoglio inizierà subito dopo. Si potrà votare recandosi al seggio indicato sulla propria tessera elettorale, portando questa insieme ad un documento di riconoscimento. Potranno votare anche i cittadini iscritti all’Aire e anche i fuori sede, cioè chi si trova lontano dalla propria residenza (in Italia o all’estero) da almeno tre mesi per motivi di lavoro, studio o cure mediche (dovranno però fare richiesta entro il 4 maggio).

 

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